Space Economy: Opportunità Terrestre

25 giugno

(l’articolo è tratto da Wired Space Edition, allegato a Wired Italia n. 93, e ne costituisce l’editoriale introduttivo)

 

Nel 2018, per conto dell’Agenzia Spaziale Europea, feci parte di una commissione in un concorso studentesco, che avrebbe giudicato le applicazioni ideate per sfruttare i dati dei satelliti Sentinel.

Vinse un gruppo di ragazzi norvegesi. Dalle loro parti la pesca è fondamentale, ma navigare nel Mare del Nord non è semplice: può essere pericoloso e, in caso di battute infruttuose, inutilmente caro. Inventarono un’applicazione in grado di interfacciare i dati metereologici, quelli relativi alle correnti marine e le statistiche, georeferenziate, sulle aree e gli orari più pescosi. Via cellulare, la loro app avrebbe permesso a chiunque di decidere quando e come muoversi con più efficacia.

Potrà non sembrare, ma è di spazio che stiamo parlando.

Lo spazio è l’orizzonte estremo dell’umanità, la nostra ultima frontiera, come direbbe ogni appassionato di Star Trek. Lungi dalla fantascienza però, oggi lo spazio rappresenta anche un orizzonte economico concreto, in cui l’eccellenza della nostra specie, cioè il meglio di quanto esprimiamo in ambito scientifico e tecnologico, si misura con le sfide della cosiddetta space economy.

Per inquadrare la questione, è bene accordarci su cosa si intenda per space economy. Il nostro Ministero dello sviluppo economico la definisce come “la catena del valore che, partendo dalla ricerca, dallo sviluppo e dalla realizzazione delle infrastrutture spaziali abilitanti arriva fino alla generazione di prodotti innovativi, come per esempio le telecomunicazioni, i servizi di navigazione e posizionamento, quelli di monitoraggio ambientale, il meteo”. Detto altrimenti, la space economy va dalla manifattura, il cosiddetto upstream, che per esempio riguarda razzi, satelliti o basi orbitanti, fino al downstream, quello scrigno costituito da ogni bene e servizio prodotto dallo spazio per la Terra.

In tutta onestà, mi sembra manchi qualcosa: ho sempre inteso lo spazio come luogo di opportunità. E quando cerco di dare un nome a queste opportunità, mi vengono in mente cose diverse. A un livello più alto, quelle idealistiche: per me lo spazio è esplorazione, sfida, conoscenza. Concetti che per essere concretizzati implicano lo sviluppo di tecnologie e scienza d’avanguardia, e impongono competizione o cooperazione, in fondo due facce della stessa tensione al miglioramento.

L’economia è un’altra di queste opportunità. Permea tutti, o quasi, gli ambiti delle nostre attività spaziali, ma non li esaurisce. Credo che il punto focale delle riflessioni nelle prossime pagine sia questo: la consapevolezza di quanto, nella prospettiva dei nostri futuri orizzonti spaziali, l’economia sia un aspetto fondamentale ma non sufficiente. Significa che è poco, o meno importante di altri? Tutt’altro: nessun viaggio esisterebbe senza il primo passo. O, più propriamente, senza le risorse per sostenerlo.

Credo sia calzante un’analogia: quando Cristoforo Colombo si mise in testa di percorrere una via nuova per le Indie attraverso l’Atlantico, chiese supporto alla regina Isabella di Castiglia e a re Ferdinando V prospettando le ricchezze che i due sovrani e il loro regno avrebbero potuto ricavare dall’impresa. Se per i finanziatori fu un buon investimento, al Colombo esploratore la storia regalò addirittura un mondo nuovo (e imprevisto, in quel caso).

Nello spazio economia e mercato sono un mezzo, non un fine. Non la si creda un’interpretazione ingenua: so bene che già oggi il settore muove fra i 320 e i 350 miliardi di dollari ogni anno e so anche quanto le prospettive di crescita oltre i 1000 miliardi nel 2040 implichino interessi, strategie contrapposte e player privati fino a pochi anni fa esclusi dal gioco. Lo spazio è anche l’ultima frontiera del business. Ma lo è solo grazie alla sua capacità di rispondere a tutt’altre ambizioni della nostra specie. Credere che Elon Musk o Jeff Bezos siano interessati allo spazio solo per interessi economici, questo sì, è ingenuo, e si scontra con l’evidenza di un settore dagli altissimi rischi imprenditoriali. Costruire e operare lo spazio è soprattutto questione di immaginazione e dei progressi tecnico-scientifici che questa comporta.

Per tornare agli studenti norvegesi, si pensi a una delle frontiere più proficue che oggi il settore aerospaziale promette: lo sfruttamento della crescente mole di dati satellitari. Sia chiaro, il dato non è il valore in sé. È il modo in cui si immaginerà di elaborarlo, di trasformarlo in un servizio per migliorare la vita sulla Terra che genererà ricchezza: osservazione del nostro Pianeta, agricoltura di precisione, monitoraggio ambientale, supporto in casi di emergenza. Si pensi anche solo all’impatto socio-culturale che avrà una internet ubiqua e libera da infrastrutture, un orizzonte cui stanno già lavorando tanti fra i protagonisti del settore spaziale.

La visione, lo ripeto, è ancora incompleta: la app per ottimizzare la pesca dei ragazzi norvegesi ha infatti una controindicazione, il rischio che si prosciughino le risorse ittiche più rapidamente. Qui mi rifaccio allora alla mia esperienza di astronauta: si dice, e lo confermo, che guardare il nostro Pianeta dallo spazio ne cambi la percezione, mostrandolo senza confini, nella sua unità. È il cosiddetto overview effect, quello per cui è chiaro che la Terra è un’astronave di cui gli uomini non sono i passeggeri, ma l’equipaggio.

Credo che lo spazio, e la space economy, debbano muoversi forti di questa consapevolezza, quella della sostenibilità della nostra evoluzione. Il che non esclude che interessi divergenti e strategie commerciali oltre l’atmosfera riflettano anche dinamiche competitive – solo il solito ingenuo potrebbe credere che gli attriti politici alla base della space race degli anni ’60 siano scomparsi. Persistono, ma in forme diverse.

L’applicazione di quegli studenti norvegesi vinse perché suggeriva anche le zone da non violare nei periodi di riproduzione dei pesci. Questa è la space economy: una sfida, dallo spazio, a immaginare miglioramenti sostenibili della nostra vita, qui, sulla Terra.

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