Space Debris

l'altra faccia della democratizzazione dello spazio

La maggiore accessibilità allo spazio e la crescente attività di lancio da parte dei privati sono il segno più evidente di una nuova era del settore. Un’era che sta vedendo, per esempio, un frenetico incremento di mega costellazioni satellitari, così come l’inizio dei viaggi di turisti spaziali sia nell’orbita bassa terrestre che attorno alla Luna. È un’era esaltante, ma che aumenta anche il numero delle criticità alle quali è necessario dare una risposta rapida e coordinata a livello mondiale. 

Premesso che quello che facciamo oltre l’atmosfera si traduce quasi sempre in un vantaggio sulla vita di ognuno di noi – mi riferisco all’ambito tecnologico, scientifico, esplorativo ma anche economico, punto sul quale tornerò presto - occorre sottolineare che è arrivato il momento in cui è impossibile ignorare l’impatto ambientale di queste attività, sia sul nostro Pianeta che oltre l’atmosfera. In particolare, è diventato urgente l’affrontare efficacemente l’argomento degli space debries, vale a dire i detriti spaziali.

Si definisce space debris tutto quello che è nello spazio, portato da noi umani, ed è in disuso, non più utile o non controllabile. Se dovessimo fare un paragone con le nostre strade, direi che questi detriti sono simili a qualcosa che si stacca inavvertitamente da un veicolo in movimento e rimane sulla strada, o come qualcosa gettato di proposito dal finestrino da un viaggiatore maleducato. O addirittura un veicolo guasto, oppure coinvolto in un incidente stradale, che rimanga abbandonato in mezzo alla strada causando sempre più detriti a ogni impatto con altre automobili in arrivo. 

Nello spazio, i detriti non sono solo satelliti giunti, come si dice, a fine vita e ormai fuori uso o controllo, ma anche vecchi stadi di razzi, frammenti metallici, materiale espulso dai motori, schegge di vernice staccatasi da razzi o satelliti. Secondo un’analisi dell’Agenzia Spaziale Europea aggiornata al febbraio 2020, dopo sessant’anni di attività spaziali, gli oltre 5.560 lanci hanno portato non solo 9.600 satelliti in orbita, di cui 5500 ancora attivi, ma hanno anche disseminato più di 8.800 tonnellate di oggetti che hanno causato più di 500 collisioni. Per tradurre in un’immagine queste cifre, pensate a una massa superiore a quella della Torre Eifel che vaga libera nello spazio. Al momento, circa 22.300 detriti sono catalogati dallo Space Surveillance Network, ma si stima che ci siano 34.000 oggetti più grandi di 10 centimetri, 900mila tra 10 e 1 centimetro, addirittura 128 milioni tra 1 centimetro e 1 millimetro.

A differenza di una strada dove i rottami si possono mettere temporaneamente sul ciglio e si possono recuperare appena possibile, i detriti spaziali vagano incontrollati per lo spazio dove, finora, non è mai stato previsto di dover tornare a raccoglierli. Vagano a velocità che possono raggiungere i 30mila chilometri l’ora, cosa che fornisce loro un’energia distruttiva altissima: a quella velocità, una scheggia di vernice ha la stessa energia di una pallottola sparata da un fucile da guerra. Insomma, anche se piccoli questi detriti costituiscono un problema serio e crescente: non solo perché sono una minaccia per i satelliti attivi, ma anche perché eventuali collisioni generano a loro volta un effetto a cascata che aumenta il numero di oggetti fuori controllo. 

Da diversi anni parecchie voci hanno sollevato il problema: addirittura alcuni scienziati hanno previsto che presto si genererà attorno alla Terra una nuvola di detriti simile a un anello, che renderà estremamente difficile sia piazzare satelliti su quell’orbita che attraversarla: è la cosiddetta “sindrome di Kessler”, dal nome del consulente Nasa, Donald Kessler, che la ipotizzò nel 1978. 

Sulla base di queste teorie e delle collisioni già avvenute, le singole nazioni che fanno attività spaziale, le loro agenzie e l’ufficio delle Nazioni Unite preposto agli affari extra-atmosferici (Unoosa), hanno costituito gruppi di lavoro per valutare il problema e capire come contrastarlo. Ormai da anni le missioni spaziali sono disegnate per ridurre al minimo i detriti che in precedenza venivano incurantemente generati durante il lancio; in più, i nuovi satelliti in orbita bassa terrestre vengono generalmente piazzati su orbite speciali, dove la resistenza atmosferica, seppure minima, è in grado di provocarne il rientro. I satelliti in orbita geostazionaria, invece, vengono dotati di speciali motori per modificarne l’orbita, in modo da non affollare ancor di più quella che è un’area unica e critica.  

Sebbene tutte queste soluzioni servano sicuramente a mitigare l’ulteriore produzione di detriti e a liberare le orbite più “a rischio”, occorrerà trovare il modo di rimuovere “l’immondizia” lasciata fino a oggi con “satelliti-spazzini”, che catturino e rimuovano gli space debris. Il problema non è semplice e per risolverlo sarà  necessario sviluppare soluzioni tecnologiche nuove. Le grandi agenzie hanno già in cantiere diverse missioni per testare le tecnologie necessarie. Questo settore potrebbe anche essere un business di successo per una startup privata e non è un caso in molte stiano già muovendosi.

È comunque indubbio che gli space debris siano un problema mondiale, che ha bisogno di una regolamentazione adeguata e unificata a livello internazionale. Con il numero crescente di oggetti che vengono lanciati oltre l’atmosfera, questa regolamentazione diventa ogni giorno più urgente e necessaria. Ancora una volta, lo spazio ci chiama a una responsabilità collettiva. Una responsabilità grande quanto gli obbiettivi che vogliamo ottenere. 

CREDITS: ESA

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