Il 30 maggio 2020 è diventata una pietra miliare per il futuro dell’esplorazione spaziale.
Alle 15:22 (le 21:22 italiane) da Cape Canaveral, un razzo vettore Falcon 9 con in cima una navicella Crew Dragon, progettati e realizzati dalla SpaceX di Elon Musk, si sonostaccati dalla rampa 39-A del Kennedy Space Center per portare i due colleghi astronauti americani, Doug Hurley e Bob Benhken, sulla Stazione spaziale internazionale.
Per la prima volta nella storia due astronauti hanno volato nello spazio su un veicolo costruito e gestito da un’azienda privata. Nel futuro prossimo chiunque, agenzia spaziale ufficiale, ditta privata americana o straniera, o addirittura qualsiasi cittadino, potrebbe usare il taxi cosmico della compagnia di Musk pagandone il trasporto.
I motivi per cui questo lancio cambierà il futuro dell’esplorazione umana sono tanti e di ordine diverso: si va dall’ambito tecnico-scientifico all’impatto economico generato dallo sfruttamento commerciale dell’orbita bassa terrestre, fino alle conseguenze geopolitiche di quella che, per certi versi,potrebbe diventare una nuova corsa all’eldorado spaziale.
In futuro approfondirò ognuno di questi temi, per ora credo basti soffermarsi su una delle peculiarità della mentalità pioneristica americana: ancora oggi, negli Stati Uniti, se si vuole progettare un aereo e costruirlo da soli nel garage, si può farlo, anche se non si è un ingegnere. Una volta notificata la Faa (l’autorità civile per il volo negli Usa), questa compie ispezioni periodiche per verificare che il prototipo, definito appunto “Experimental”, non costituisca un pericolo per nessuno. Completato il progetto e soddisfatte le regole basilari di sicurezza, si ricevel’autorizzazione a volare (o a provare a volare). Questo processo è in vigore negli Stati Uniti fin dalla nascita dell’aereonautica,quando si è capito quanto sarebbe migliorato il settore se si fosse permesso a tutti di realizzare e testare le proprie idee. È evidente quanto un’aviazione via via migliore comporti benefici per tutta la collettività.
Bene, lo stesso principio sta animando il settore spaziale e il lancio del 30 maggio ne è una prova importante. Il fatto di aver aperto il settore, tradizionalmente appannaggio di governi e giganti industriali, ai privati, cioè a figure che rispondono diversamente a logiche di carattere politico, ha portato una serie di vantaggi di cui oggi il Falcon 9 e la Dragon sono esempi concreti. Per cominciare, questi sono stati realizzati in tempo record, almeno rispetto alla durata standard dei programmi Nasa. SpaceX, poi, ha speso una cifra che si stima essere un terzo di quanto avrebbe speso la Nasa usando i soldi del contribuente.
Per capire fino in fondo la portata di questo evento bisogna però andare indietro di qualche anno, a prima che l’imprenditore di origine sudafricana iniziasse a lavorare con l’ente spaziale americano.
Bisogna tornare al 2003, all’incidente che portò alla distruzione dello space shuttle Columbia e alla perdita dell’intero equipaggio. I voli furono sospesi e il presidente Bush, nel suo discorso al Johnson Space Center, annunciò l’abbandono dello shuttle in favore del nuovo programma Constellation che, con un veicolo tutto nuovo, avrebbe riportato l’uomo sulla Luna «non oltre il 2020». Divenne però presto chiaro che solo la capacità di carico degli shuttle avrebbe permesso il completamento della Stazione spaziale internazionale.
Nel 2004 la Caib, la commissione d’inchiesta che esaminò l'incidente, evidenziò una serie di problemi gravi e, vista la necessità di continuare a utilizzare gli shuttle per completare la Iss, raccomandò una serie di misure che venne poi riesaminataed estesa nel 2005 dalla commissione Stafford-Covey.
Anche per tener fede agli accordi internazionali, nel 2005,vennero quindi approvate le 21 missioni necessarie per il completamento della Iss, numero al quale più tardi se ne aggiunse una ulteriore per riparare il telescopio spaziale Hubble. Dopo, il programma Space Shuttle sarebbe andatodefinitivamente in pensione e gli orbiter nei musei.
È il caso di ricordare quanto lo shuttle fosse complesso: farlo volare imponeva un lavoro annoso e un grande numero di tecnici altamente qualificati. Per costruire i pezzi, come per esempio il “main tank”, il gigantesco serbatoio esterno che andava distrutto dopo ogni lancio, ci volevano più di tre anni di lavoro, tecnologie altissime e strutture apposite. Nel 2007, mentre si terminava la costruzione dei serbatoi necessari, le strutture erano già in smantellamento e i tecnici specializzati in via di licenziamento.
Ricordo distintamente quando, all’inizio del 2008, dopo la missione a bordo del Discovery, in una visita al Congresso americano a Washington, ci trovammo come equipaggio a testimoniare di fronte alla Commissione Scienza, spazio e tecnologia. La comandante Pamela Melroy diede la sua opinione alla Commissione su quanto tempo avrebbe richiesto la costruzione del successore dello shuttle previsto nel programma Constellation: anche si fosse trattato di una capsula, molto più semplice dello spazioplano, la costruzione – disse - avrebbe richiesto almeno quattro o cinque anni. Nel frattempo gli Stati Uniti si sarebbero trovati senza un veicolo spaziale. Quando uno dei senatori, incredulo, chiese se si sarebbe potuto continuare a usare gli shuttle dopo la data di chiusura del 2010, Pamela rispose che sarebbe stato possibile, ma sarebbe stato necessariointervenire immediatamente per bloccare lo smantellamento delle strutture indispensabili, come quelle per la costruzione dei serbatoi esterni in Alabama.
Quattro o cinque anni: previsione ottimistica quella della mia comandante! Niente fu tatto e nei mesi successivi le catene di montaggio vennero definitivamente smantellate e gli ultimi tecnici specializzati lasciati a casa.
Nel frattempo il panorama politico americano cambiava con l’amministrazione repubblicana Bush che nel 2008 cedeva il passo alla democratica di Barack Obama. Una delle prime azioni della nuova amministrazione fu di chiedere il parere sul programma Constellation alla commissione Augustine, l’organismo di consiglio sul futuro del programma spaziale americano. Nel 2009 la commissione concluse che non si sarebbe potuto realizzare il programma Constellation entro il 2020 a meno di un impegno politico forte e un incremento sostanzioso dei finanziamenti.
Lo spazio è anche questo: un ambito in cui convergono, oltre a scienza, tecnologia e industria, volontà politiche e strategie economiche. Per questo la sua portata è strategica. E proprio per smuovere questa complessità, in un periodo delicato dal punto di vista economico, l’amministrazione Obama, nel 2010, tentò di cambiare le carte in tavola: da una parte congelando le ambizioni di ritorno alla Luna degli Stati Uniti e chiudendo il programma Constellation, non senza aspre polemiche, comprese quelle di Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Jim Lovell. Dall’altra, aprendo il settore all’intervento dei privati e, in sostanza, accogliendo le istanze di imprenditori come Elon Musk, che volevano competere commercialmente per offrire servizi in orbita bassa terrestre, cosa fino ad allora riservata ai contrattisti che la Nasa sceglieva fra partner storici. Inutile dire che sia la Nasa che le grandi industrie spaziali tradizionali opposero una feroce resistenza al cambiamento ma l’amministrazione Obama fu inflessibile e forzò la Nasa ad aprire ai privati il bando di concorso per la fornitura di servizi di cargo per la Iss, bando prontamente vinto da una giovane e intraprendente SpaceX, che sfruttò l’opportunità per sviluppare, testare e qualificare sia il lanciatore Falcon 9 che la navetta Dragon, entrambe capaci di portare esseri umani (capacità non necessaria per un cargo).
Quell’inizio forzato e piuttosto burrascoso, volutodall’amministrazione Obama, ha portato l’amministrazione Trump lo scorso 6 aprile a emanare un Executive Order confermando il supporto ai privati. Non sarebbe scorretto sottolineare quanto la spinta di Musk, e dei privati in generale, sia servita e serva da stimolo agli enti pubblici: in fondo, Musk e SpaceX sono sempre andati dritti per la propria strada. Non solo hanno dimostrato capacità tecnologiche, industriali e organizzative di cui pochi li avrebbero ritenuti capaci fino a pochi anni fa, ma hanno anche ottenuto risultati mai raggiunti da nessuno, per esempio recuperando il primo stadio dei loro lanciatori, con un risparmio notevole. Non senza errori, sia chiaro, ma il rischio di fallire è inscindibile dall’innovazione.
Per questa serie di motivi, il lancio del 30 è il culmine di un percorso lungo e tortuoso a cui hanno contribuito in molti. Fra centinaia di ingegneri e tecnici, potremmo menzionare l’ex direttore delle operazioni di SpaceX, l’ingegnere di origine italiana Marco Villa. Oppure Ken Bowersox, che qualche giorno fa ha sostituito Doug Loverro nella direzione del volo spaziale umano della Nasa. Potremmo menzionare il mio amico ed ex astronauta Garett Reisman, che quando lasciò la Nasa nel 2011 andò a lavorare per SpaceX come direttore delle operazioni umane, vale a dire il responsabile della progettazione e costruzione dell’interno della capsula abitata.
Poi, ovvio, dovremmo menzionare i due piloti protagonisti dell’impresa, Doug Hurley e Bob Behnken, astronauti Nasa della classe dopo la mia. Oltre che a Houston, con “Chunky” e “Dr. Bob” – sono questi i loro soprannomi - ho lavorato a Capo Kennedy per il team di astronauti chiamato “Cape Crusaders”, i responsabili della preparazione della cabina degli shuttle per il decollo. Doug è un pilota collaudatore e Bob è un ingegnere collaudatore, entrambi ottimi, con una vasta esperienza operativa e missioni shuttle alle spalle. Viste le loro qualifiche e le loro capacità, nel 2015 entrambi sono stati assegnati dall’ufficio astronauti a cooperare con SpaceX e Boeing per la preparazione dei prossimi veicoli spaziali. Il loro compito, nella missione Crew Demo-2, è quello di interrompere periodicamente le sequenze automatiche e pilotare manualmente il veicolo in modo da validarne i sistemi e caratterizzarne il comportamento.
Ma non è della missione in sé che voglio parlare. Quello che mi preme raccontare con queste righe va in un’altra direzione.
Capita che una svolta al progresso del genere umano venga innescato da una scintilla, dall’intuizione fulminante di geni come Kostantin Tsiolkovksy, Sergej Korolëv o Wernher von Braun. Eppure, anche in questi casi unici, anzi, soprattutto in questi casi unici, lo spazio ricorda come poi, perché l’intuizione diventi cambiamento, per fare in modo che le nostre attività extraterrestri migliorino la vita di ciascuno di noi, conti non solo la scintilla iniziale, ma anche il fuoco che la segue. Un fuoco che si può alimentare solo attraverso il contributo di tante intelligenze e immaginazioni diverse, attraverso lo sforzo e la passione comune di donne e uomini da tutto il mondo, in una parola attraverso la collaborazione.
Sono sicuro che il lancio del 30 maggio 2020 rivoluzioneràl’esplorazione umana e avrà un impatto sulla vita delle prossime generazioni, impatto che adesso non riusciamo nemmeno a immaginare. Ma lungi dalla scintilla di chi, pazzamente, ha pensato di poter andare su Marte, per alimentare il Falcon 9 e portare la Crew Dragon dalla piattaforma 39-A di Cape Canaveral all’orbita bassa terrestre, c’è il fuoco di anni di studio, scelte difficili e sacrifici pesanti di migliaia di persone. Ben più della fiamma dei nove motori Merlin, è la volontà umana a spingere la Crew Dragon nel futuro.
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